Sarà molto difficile per il leader del Partito popolare spagnolo
Mariano Rajoy trovare una maggioranza che possa appoggiare un suo
secondo governo. Così, pur essendo stato il partito più votato, il PP
rischia di non poter governare. Un po' come successe a Bersani e al Pd
nel 2013. Ma per la Spagna, abituata al bipartitismo, è difficile
pensare a fragili e anomale alleanze.
Rajoy si è detto convinto di potercela fare, ma la strada è tutta in
salita. Con i suoi 123 seggi su 350 potrebbe tentare un esecutivo di
minoranza, ma per ora solo Ciudadanos di Albert Rivera, 40 seggi,
potrebbe votare a favore. Per avere la maggioranza, però, sarebbe
necessario comunque l'appoggio di qualcuna delle piccole formazioni
autonomiste. Rajoy dovrà vedersela poi con la netta opposizione di Psoe e
Podemos. I socialisti hanno detto che voteranno contro e anche Podemos,
vero vincitore del voto e primo partito in Catalogna e nei Paesi
Baschi, ha detto che farà di tutto per impedire a Rajoy di restare al
potere. Il re Felipe VI avrà il difficile compito di trovare una
mediazione.
Se Rajoy non dovesse riuscire a formare il governo, l'incarico potrebbe
essere affidato al socialista Sanchez, che tenterà di trovare alleati in
Podemos, nei nazionalisti baschi o nei 17 indipendentisti catalani. Il
leader di Podemos Pablo Iglesias, che ha vissuto un anno a Bologna ed è
un ammiratore di Enrico Berlinguer, ha parlato ieri di «compromiso
historico» per cambiare il sistema e la costituzione ma ha fissato
cinque condizioni irrinunciabili che difficilmente il Psoe potrà
accettare.
Podemos chiede infatti un referendum sull'indipendenza della Catalogna,
una legge elettorale proporzionale, la blindatura dei diritti sociali,
l'indipendenza della giustizia e la fine dei passaggi degli ex ministri
ai consigli di amministrazione delle grandi imprese. Se tutti i
tentativi dovessero fallire si tornerà alle urne in primavera. Intanto,
l'allarme governabilità ha fatto cadere del 3,6% la Borsa di Madrid.
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