sabato 31 ottobre 2015

STANATI GLI EVASORI DEL TICKET, UNO SU QUATTRO NON LO PAGA

La Regione Lazio stana i furbetti del ticket: uno su quattro, tra il 2009 e il 2010, ha dichiarato il falso godendo dell’esenzione per le prestazioni sanitarie ricevute senza averne diritto e ora la Pisana chiede indietro i soldi. Una pioggia di avvisi «bonari», 235mila per l’appunto su un milione di pratiche scandagliate, che sta arrivando in queste ore ad altrettanti utenti del sistema sanitario nazionale di Roma e delle altre quattro province che ora dovranno dimostrare di essere nella ragione (se ritengono errati i conteggi) o regolare in fretta la loro posizione per scongiurare l’attivazione della procedura del recupero crediti coatto. Ovvero l’entrata in campo di Equitalia. L’ASSALTO Il contact center messo in piedi dagli uffici del governatore Nicola Zingaretti per rispondere alle richieste di informazioni e chiarimenti da parte degli utenti interessati, ieri mattina è stato preso letteralmente d’assalto, finendo pressoché in tilt. Mentre nei locali dell’ufficio reclami al piano terra della sede centrale di via Cristoforo Colombo, si è riversato un fiume di gente, disperata, perché «non abbiamo i soldi per pagare, all’epoca ero un disoccupato», spiega un uomo di mezz’età. Un altro aggiunge: «Mia figlia è malata cronica, come si può pensare che non sia esente?». È l’aprile di quest’anno quando la Giunta avvia una delibera che dà applicazione a una norma già contenuta nella legge di stabilità del 2013 che rende pieni poteri alle Regioni di incrociare i propri dati con quelli dell’anagrafe tributaria ai fini del «recupero di somme erogate per prestazioni erroneamente o indebitamente utilizzate». In pratica l’assessorato al Bilancio di Alessandra Sartore spinge sull’acceleratore di un’operazione di verifica puntuale sui due anni finiti nel mirino già avviata. LE SOMME Si conta di fare rientrare nelle casse laziali, già disastrate dal deficit sanitario, svariate decine di milioni di euro, circa trenta-quaranta nelle previsioni. Fino al 2013 era compito delle singole Asl, infatti, eseguire i controlli che avvenivano, però, a campione e a discrezione. Insomma, chi voleva fare il furbo o chi, pure in buona fede, ha autocertificato di essere esente, aveva vita più facile. Adesso, invece, dall’intreccio diretto dei dati dell’Agenzia delle Entrate con quelli in possesso della Regione, sarà quasi impossibile evadere. GLI STEP La riscossione avverrà in due step. Il primo è quello dell’invio dell’avviso bonario. La lettera spedita, redatta in modo da mantenere la privacy sulle condizioni di salute dell’assistito, contiene gli estremi a cui fare riferimento per, eventualmente, contestare l’addebito o procedere con il saldo. La cifra è maggiorata degli interessi. In Regione garantiscono che le somme potranno essere rateizzate in virtù delle norme tributarie. I reclami possono avvenire tramite il contact center, i Cup (Centri unici di prenotazione), le Asl o via email. Secondo i tecnici le possibilità di errore sono molto ridotte proprio per la comparazione con i dati dell’anagrafe tributaria, di per se certi, ma «non del tutto escluse, anche se abbiamo fatto attenzione a sgomberare dalla lista le patologie più gravi». Tra chi protestava, ieri, c’era chi spiegava come la sua situazione economica nel frattempo fosse cambiata. Man mano che le lettere arrivano, l’apprensione aumenta: «È passato talmente tanto tempo - aggiunge una donna - che non ho più nemmeno quelle ricevute per verificare». Un errore, infine, è stato denunciato dal Cobas della Asl Rm D, dove sarebbero parecchie le donne assistite dal locale consultorio, a cui è arrivata la richiesta di rimborso: «L’errore - spiegano - sarebbe da addebitare al sistema informatico per cui non verrebebro differenziate le prestazioni consultoriali, quindi assimilate a quelle ambulatoriali».

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